Transamazonica. Cycling the rainforest as it is

Transamazzonica, o Transamazonica, come si dice in Brasile. Solo la parola fa tremare le vene e i polsi. Sinonimo di avventura, di foresta vergine e di pericolo estremo.

Attraversare la foresta più grande del mondo in bici, senza mezzi al seguito, senza supporti.

Un’impresa che sembra impossibile o del tutto folle, per l’elevato grado di isolamento nelle lunghe distanze, per i pericoli costituiti da animali feroci e insetti velenosi di ogni genere, per le condizioni climatiche di elevatissima umidità e calore estremo e per la delinquenza che in diverse aree ha il completo controllo del territorio.  

Se si cercano in rete informazioni sul percorso si trova ben poco, specie ad ovest di Altamira, la porta di ingresso. 

Sommario

Il perché

E’ necessario portare all’attenzione mediatica globale il problema della conservazione e della difesa attiva della biosfera.

Se si esaminano le fotografie satellitari con la rilevazione termica, si vede che il processo di deforestazione procede – come logico – lungo le vide di comunicazione: io Rio delle Amazzoni e la Transamazzonica da sud est verso nord ovest ma anche da nord, dalla Guyana verso sud.

Il nostro obiettivo è andare a documentare come stanno le cose. Cosa sta succedendo veramente e in che stato si trova veramente la Grande Foresta. 

La strada

La Rodovia Transamazonica o BR-230 come è chiamata tecnicamente, è lunga oltre 4000 km di cui una gran parte risulta tutt’oggi non asfaltata ed è percorribile solo durante la stagione secca tra giugno e settembre perché durante il resto dell’anno il fango che si forma rende praticamente impossibile progredire.

Il suo tracciato collega Joao Pessoa, sulla la costa atlantica del Brasile a Labrea, un minuscolo paesino nel profondo della foresta brasiliana, dove la costruzione della strada iniziata nel 1970 per volere della dittatura militare con lo slogan “Terra senza uomini per uomini senza terra”, si è arrestata per le difficoltà tecniche e gli elevatissimi costi senza mai arrivare a sbucare in Perù come progettato all’inizio.  

L’idea e i suoi attori

Quando a fine del 2014, tornai dal 4 mesi a spasso sulle Ande, da Lima verso Buenos Aires, mi resi conto che era arrivato il momento di mettere in cantiere un progetto molto ambizioso.

Allora avevo 39 anni e mi cominciavo a rendere conto che alcune cose non si possono fare quando vuoi e che anche nel ciclo viaggio come nella vita ci sono momenti per alcune cose e momenti per altre.

Negli anni successivi non riuscii tuttavia a trovare compagni di viaggio che avessero la disponibilità di tempo o il desiderio di affrontare la Grande Foresta.

Fino alla scorsa estate.

Ero al confine tra Polonia e Bielorussia sulla Green Velò quando tramite una newsletter venni a conoscenza di Pedalande, il libro scritto da Beatrice per raccontare i suoi 10 mesi in solitaria in bici in America Latina. Il titolo era lo stesso del blog di viaggio che io avevo tenuto nel 2014.

Capii immediatamente che era la persona giusta. Le scrissi, lei ci pensò su e poi rispose. Affermativamente.

Dopo un incontro a Zurigo e uno a Milano, decidemmo che mancava un rinforzo. Mancava un particolare, mancava un fotografo. Ed ecco che nel giro di qualche giorno Beatrice estrasse dal cappello… Gas!

Triatleta di livello, con una importante esperienza fotografica. Il gruppo era completo. E la cosa curiosa era che eravamo tutti sanitari, medici o infermieri… quasi si partisse in assetto “reparto Amazzonia”! 

Precedenti

Qualcuno prima noi aveva mai percorso quella infinita pista nel verde profondo? Si.

La prima a farlo era stata una infermiera (d’altro canto essendo il dittatore militare che aveva voluto la BR-230 il generale Medici… non poteva che andare così!): si chiamava Louise Sutherland.

Pochi anni dopo l’apertura della strada, nel 1978, all’età di 54 anni partì da Belem, sulla costa atlantica, a bordo di una bici che assomigliava ad un Graziella per dirigersi a Lima, sulla costa pacifica, attraversando da parte a parte la Grande Foresta.

Non sapeva nemmeno riparare una gomma bucata. Ma la fortuna la accompagnò e non bucò.

Riportò una impressione così forte e un amore così intenso per quell’ambiente, che per il resto della sua vita, terminata nel 1994, si impegnò in progetti di cooperazione a favore degli abitanti della foresta.

Raccontò l’attraversata in un libro dal titolo “The impossibile ride”.

Il percorso

Il 21 maggio atterreremo a Belem, dove l’immenso Rio delle Amazzoni termina la sua corsa gettandosi nell’Oceano Atlantico.

Da lì inizieremo a scendere verso sud-ovest per sbucare sulla BR-230 a Novo Repartimento. Da lì sarà sempre verso ovest. La prima città di rilievo sarà Altamira. Qui dovremo passare con estrema cautela: Altamira ha un tasso di omicidi superiore del 37% a quello dell’Honduras, il paese con il maggior tasso di omicidi al mondo.

Questa cittadina è considerata la “capitale della transamazzonica”.

Da lì o poco oltre dovrebbe iniziare il tratto non asfaltato per inoltrarci nella foresta. Sebbene piccoli centri abitati dovrebbero essere presenti, le città di maggiori dimensioni sono molto più avanti, molte centinaia di chilometri più avanti, dentro la selva: Itaituba 500 km oltre e Humaità a ben 1500 km oltre. 

Se tutto andrà bene, arriveremo a Làbrea, all’ultimo metro della BR-230. Quindi dovremo tornare indietro e abbandonare la Transamazonica per scendere a Porto Velho e da lì a sud per sbucare in Bolivia.

Dirigendoci a sud arriveremo a Riberalta e una volta giunti a Trinidad, valuteremo se sarà possibile attraversare il TIPNIS, un’area protetta di foresta vergine integrale contesa tra indios dal un lato e cocaleros e narcotrafficanti dall’altro.

Nel TIPNIS mancano 60 km di strada e dovremo trovare una guida locale per addentrarci nei sentieri e risolvere il problema dell’attraversamento di alcuni fiumi.

Se la cosa si rivelerà impossibile continueremo invece verso Santa Cruz della Sierra e termineremo il tragitto comune, salendo a Colomi, che per me è casa, da quando sono vicepresidente di Colomitalia.

Là le ragazze della Casa Estudinatil ci accoglieranno come sempre con grande affetto. Poi Beatrice tornerà in Europa, Gas ci penserà e io continuerò ancora verso Sud, per sbucare sul Pacifico in Cile, salire sul Aucanquilcha e incontrarmi con un altro compagno di viaggio italoargentino alla triple frontera tra Cile, Bolivia e Argentina, proprio dove nel 2014 dovetti interrompere il viaggio per problemi di salute del compagno di allora.

Da lì ancora a zonzo sulle Ande fino a Natale.

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